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Il mio western fra Leone e Hitchcock

la Repubblica - 2 agosto 2008

Rassegna Stampa

di Maria Pia Fusco

I bianchi arrivarono negli anni Trenta e Quaranta. Cominciarono ad eliminare la vegetazione del Mato Grosso e chiesero aiuto agli indigeni, i quali si prestarono, anche a loro servivano spazi liberi nella foresta per coltivare i loro orti. Poi, paracadutate da aerei C130, arrivarono le mucche e per alcuni anni convissero con gli indigeni, ma quando le regioni disboscate furono abbastanza e i bovini sempre più numerosi, gli indigeni non servirono più: furono messi nelle riserve.

Da cui negli anni Ottanta hanno preso ad uscire e tornare nelle “loro” terre che, poiché si era passati dalla produzione di carne al transgenico, erano diventate sterminati campi di soia. Destinati anch’ essi a sparire a favore della canna da zucchero per la produzione di etanolo. «Invece di sfamare il mondo, l’ agricoltura servirà a far correre le auto», dice Marco Bechis, autore di La terra degli uomini rossi, uno dei quattro film italiani in concorso a Venezia, che racconta la vicenda passata e presente di un gruppo di indigeni del Mato Grosso, i Guarani-Kaiowà. «Da anni volevo fare un film sulla Conquista, sul più grande genocidio della storia, una vera carneficina, quasi l’ 80 per cento degli abitanti dell’ America latina è scomparso, per massacri, per malattie, per carestia», dice. Padre italiano e madre cilena, Bechis è nato in Cile «e come tanti bianchi nati in quella parte del mondo mi sono sempre chiesto chi c’ era prima di noi. Tanto che a vent’ anni il mio progetto era di fare il maestro elementare nelle comunità indigene del nord, anche per contrapporre un’ altra figura a quella del prete, unico riferimento culturale per molti indigeni nelle zone di confine della Bolivia. Ma allora - era l’ epoca in cui è ambientato Garage Olimpo - facevo politica, non facevo cinema».

Dopo i film sull’ Argentina, Bechis ha ripreso l’ idea e, dopo essersi documentato sulle tribù che sopravvivono in America Latina, l’ interesse di è concentrato sui Guarani, che «vivono non in un luogo sperduto del Brasile, ma ai margini di Dourados, una delle città principali della regione, ricca e moderna, pulita, con i semafori, le strisce pedonali perfette, sembra uscita da un film di Lynch. A Dourados vivono ricchi proprietari in ville con piscine e ospitano turisti che accorrono a studiare gli uccelli. Birdwatchers è il titolo originale del film. Mi ha toccato il paradosso. I Guarani-Kaiowaà, pur avendo mantenuto la loro identità culturale ed essendo fortemente “indigeni”, non ne hanno l’ aspetto, si vestono come tutti noi, hanno magliette di marca che trovano nei mercatini dell’ usato. Ho sentito che loro avevano la storia giusta, la storia di un gruppo di indigeni che, nell’ eterno conflitto con i bianchi, vogliono riconquistare la terra che 50 anni fa era loro, e lo fanno con metodi moderni, con l’ occupazione, con la lotta legale, con gli avvocati. Ma anche con grande difficoltà, il disagio della mancanza di lavoro se non come schiavi provoca un impressionante numero di suicidi tra i giovani». Il problema era “come” fare il film, scritto sulla base dei racconti dei Guarani, come evitare l’ uso di attori somiglianti agli indigeni. «Poi ho partecipato ad una riunione a Brasilia tra le autorità e i Guarani, ho capito che erano attori perfetti, i loro interventi erano studiati nei modi e nei toni: recitavano. La preparazione è durata sei mesi per spiegare come si gira un film, soprattutto l’ importanza dei silenzi e delle pause, perché nelle loro improvvisazioni non smettevano di parlare. Hanno capito tutto quando ho analizzato con loro alcune sequenze mute di C’ era una volta il West e di Gli uccelli». Coprodotto da Italia (Amedeo Pagani e RaiCinema) e Brasile, il film è, secondo Bechis «un western moderno, in cui, sia pure nella fiction, un gruppo di indigeni si accampa davanti a un proprietà in capanne coperte di plastica nera, la più a buon mercato, che sostituisce la scarsità del legno e quando lo sciamano ha concluso le sue preghiere, entra nella proprietà, con il rituale aggressivo di quando andavano in guerra. Occupano la terra e aspettano l’ arrivo dei legali».

A differenza di “Mission” o di “Fitzcarraldo”, in cui gli indigeni erano di sfondo, in La terra degli uomini rossi «i protagonisti sono i Guarani e gli attori bianchi sono laterali. Con due bravi attori brasiliani, ci sono Chiara Caselli, la moglie di un fazendero, e Claudio Santamaria, che è una specie di “spaventapasseri”, che sta nella proprietà per respingere gli indigeni, poi entra in contatto con loro e ne viene influenzato».

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ufficio stampa_6 August, 2008

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