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A Venezia “BirdWatchers” di Bechis

TgCom - 1 settembre

stampa italiana

Dopo “Un giorno perfetto” di Ozpetek e “Il papà di Giovanna” di Avati, ecco il terzo film italiano in gara alla Mostra di Venezia. “BirdWatchers - La terra degli uomini rossi” è diretto da Marco Bechis con Claudio Santamaria e Chiara Caselli. La pellicola, ambientata a Mato Grosso do Sul (Brasile), narra lo scontro violento tra i fazendeiro e gli indio che reclamano le loro terre. La stampa ha accolto il film con un breve ma sentito applauso.

Momenti di commozione e lacrime oggi in conferenza stampa a Venezia per “BirdWatchers - La terra degli uomini rossi”. Le lacrime e la commozione vengono propria da una di queste protagoniste india, Eliane Juca Da Silva. “Sono commossa - esordisce con le lacrime agli occhi e con voce rotta -, ma la mia presenza qui è una grande speranza. Non voglio giudicarvi, ma non abbiamo più foresta e abbiamo bisogno di cacciare e pescare e non c’è più nulla, non ci sono fiumi, non ci sono foreste. E non ci sono neppure opportunità per i giovani. Siamo esseri umani come voi, utilizziamo i  vostri stessi vestiti. I nostri capi religiosi non possono neppure pregare. I fazendero ci credono invasori, ma noi vogliamo solo la nostra terra”.

La pellicola ambientata nel Mato Grosso (Brasile), narra appunto lo scontro violento tra i fazendeiro e gli indios che reclamano le loro terre. I fazendeiro conducono la loro esistenza ricca e annoiata. Possiedono campi di coltivazioni transgeniche che si perdono a vista d’occhio e trascorrono le serate in compagnia dei turisti venuti a guardare gli uccelli (birdwatchers). Ai limiti delle loro proprietà, cresce il disagio degli indio che di quelle terre erano i legittimi abitanti.

Costretti in riserve, senza altra prospettiva se non quella di andare a lavorare in condizioni di semi schiavitù nelle piantagioni di canna da zucchero, moltissimi giovani si suicidano.

A scatenare la ribellione è proprio un suicidio. Guidati da un leader, Nádio, e da uno sciamano, un gruppo di Guarani-Kaiowá si accampa ai confini di una proprietà per reclamare la restituzione delle terre. Due mondi contrapposti si fronteggiano. Si fanno una guerra prima metaforica e poi reale. Ma non cessano mai di studiarsi. A provare la “curiosità dell’altro” sono soprattutto i giovani. Una curiosità che avvicinerà il giovane apprendista sciamano Osvaldo alla figlia di un fazendeiro…

“Questo film è dedicato a Enrique Ahriman, mio amico e maestro, morto nel 2002 (…) - dice Marco Bechis- Mentre se ne andava, lentamente, parlammo molto del più grande genocidio della storia umana, la Conquista dell’America. Mi interessava il “problema dell’altro” che Todorov aveva analizzato profondamente in un suo libro omonimo. Lui mi suggerì di leggere Yanoama, la storia-intervista a Helena Valero, una donna rapita dagli indigeni e vissuta tra loro per trent’anni, una specie di Tarzan al femminile”.

“L’anno dopo, era il 2003, feci un lungo viaggio lungo la cordillera delle Ande, - presegue il regista - tra le comunità indigene di Perù e Ecuador: a bordo di un piccolo aereo, insieme a un gruppo di birdwatcher, arrivai fino all’Amazzonia, in un villaggio di Ashuar, una tribù entrata in contatto con l’uomo bianco solo quarant’anni prima. Di ritorno a Milano, scrissi di getto una sceneggiatura sulla vicenda di Helena Valero e preparai il primo viaggio di sopralluogo. (…) Misi in borsa una macchina fotografica 35mm, un taccuino, un registratore audio e partì con Caterina Giargia (scenografa e costumista) per Dourados, una delle città principali della regione, moderna e ricca, centro della produzione di soia transgenica targata “Monsanto”. Mi sembrava essere arrivato sul set di Twin Peaks di David Lynch”.

“Alla preparazione del film vero e proprio sono giunto solo a fine del 2006. - rivela Bechis - Avevamo bisogno di circa 230 tra ruoli principali, secondari e comparse. Urbano Palacio, esperto di lingua Guarani, visitò le comunità indigene del Mato Grosso do Sul intervistando oltre 800 indigeni. Ci concentrammo poi su tre grandi comunità nei dintorni di Dourados. Dovevamo limitarci a comunità vicine alla città e ai luoghi di ripresa perchè non volevamo sradicare gli attori dalle loro famiglie. Durante tutto il tempo delle riprese, gli indigeni sono stati accompagnati sul set ogni mattina e per poi rientrare nelle loro comunità ogni sera”.

“La grande paura era la discontinuità. Mi ripetevano tutti che non sarei arrivato alla fine del film, che mi avrebbero lasciato a metà strada, che avrebbero protestato e scioperato come fecero nel film Aguirre furore di Dio e Fitzcarraldo di Herzog, come in Mission di Joffé. Ma si rivelarono preoccupazioni infondate: gli indigeni scelti sono rimasti tutti al posto di lavoro fino al termine delle riprese”.

In programma anche i film di Ross McElwee, “In Paraguay”, Gerardo Naranjo, “Voy a Explotar”, oltre alle sezioni autonome e retrospettive. In concorso oltre a Bechis, i film di Semih Kaplanoglu, “Süt (Milk)” e Amir Naderi, “Vegas: Based on a True Story”. Al via anche la sezione Corto Cortissimo.

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ufficio stampa_3 September, 2008

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